Ha sessant’anni il sogno di Brasilia, capitale-utopia sorta dal nulla

Inaugurata il 21 aprile 1960 per 300 mila persone (oggi ci abitano in 3 milioni) era stata progettata dall’architetto Oscar Niemeyer per «uomini che ci vivessero da uguali, da amici»

Difficile pensare che i padri di Brasilia — il presidente Juscelino Kubitschek, l’architetto Oscar Niemeyer e l’urbanista Lucio Costa — immaginassero i 60 anni della loro città nelle immagini congelate dalla pandemia che da qui, come da ovunque, viaggiano nel mondo. Eppure se c’è una capitale al mondo dove gli spazi vuoti, le curve bianche di cemento con il solo cielo azzurro come sfondo, gli orizzonti tersi e persino le strade a sei corsie senza una macchina, non appaiono una triste anomalia, questa è proprio Brasilia. Immaginata nel nulla, pensata per essere vissuta in pochi e senza eccessi.Inaugurata ufficialmente il 21 aprile del 1960, la capitale del Paese del futuro doveva essere suppergiù così, direbbe oggi Oscar Niemeyer, il quale in più occasioni spiegò perché non aveva più voluto metterci piede.

L’idealismo positivista — e nel suo caso anche marxista — di sei decenni fa sognava un distretto di dimensioni contenute, senza affollamenti, traffico e ancor meno favelas, dove funzionari pubblici di ogni livello avrebbero vissuto in modo egualitario in condomini di pochi piani, lungo vie definite solo da lettere e numeri. Spostandosi solo in macchina (infatti non ci sono marciapiedi), senza l’impiccio degli incroci (non ci sono nemmeno i semafori), e avendo a disposizione a due passi da casa il cielo infinito e le cascate del Planalto centrale, la savana dove all’epoca non abitava quasi nessuno.

Oggi l’intuizione alla base di Brasilia, cioè il sogno di spostare l’epicentro del Paese dalla costa atlantica dove allora viveva il 90% della popolazione, si è in parte compiuta. Nel bene, perché si sono create zone di fermento economico legate alla grande agricoltura; nel male perché da questo Brasile 2 è partita l’occupazione dell’Amazzonia, con le conseguenze che sappiamo.

Muovere la capitale da Rio de Janeiro verso l’interno era scritto nella Costituzione, qualcuno prima o poi avrebbe dovuto farlo. Kubitschek scelse prima Niemeyer, con il quale aveva già lavorato a Belo Horizonte, e poi l’urbanista Lucio Costa per disegnare la città, vincitore di un concorso. Entrambi ricevettero solo il loro stipendio di dipendenti pubblici. La commissione decise tutto in meno di una settimana, tra una ventina di progetti. Vinse l’idea di una città a forma di aereo, con le due ali per le abitazioni e la fusoliera per l’asse dei monumenti e dei palazzi pubblici. Tutto leggero, come l’aria dell’altopiano, tra molto spazio e vetro.

Il governo cominciò a stampare soldi e 40.000 operai e ingegneri lavorarono giorno e notte, sette giorni su sette, per finire la città prima che scadesse il mandato del presidente. Tre anni dopo erano pronti i palazzi del potere, le infrastrutture, le case e si iniziò a incentivare i brasiliani al trasferimento. Quanto al progetto urbanistico iniziale, poco si è compiuto. Oggi Brasilia, pensata per 200-300.000 abitanti, ne ha tre milioni, in gran parte concentrati nelle città satellite povere e che funzionano come dormitori. È lì che il presidente negazionista Jair Bolsonaro ama in questi giorni esibirsi in bagni di folla, selfie e strette di mano: verso un popolo che l’ha in buona parte votato, perché si aspettava la rinascita di quel sogno che quasi tutti gli emigrati a Brasilia un giorno hanno avuto, e che si è andato realizzando solo per pochi.

https://www.corriere.it/esteri/20_aprile_18/ha-sessant-anni-sogno-brasilia-capitale-utopia-sorta-nulla-0fb45d3e-80d4-11ea-ac8a-0c2cb4ad9c17.shtml

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